Le cose bisogna farle come conviene, o non farle. (don Bosco)

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Notizie

15-26 maggio 2024

Torna FESTINSIEME, uno dei momenti più attesi dell'anno per festeggiare Maria Ausiliatrice e fare comunità grazie a momenti di riflessione, preghiera e festa in piazza con stand gastronomici, sport, musica e tanti giochi per grandi e piccoli!!! Vi aspettiamo!!!

 

 

EVENTI

Laura del Carmen Vicuna, questo il suo nome completo, nacque nella capitale cilena, Santiago, il 5 aprile 1891, primogenita di José Domingo e di Mercedes Pino. La città era attraversata da tensioni politiche e militari ed a causa di ciò fu necessario attendere quasi due mesi per procedere alla celebrazione del suo battesimo, che ebbe luogo il 24 maggio successivo. Tra gli antenati di Laura figuravano parecchi personaggi illustri e per tal motivo la rivoluzione imperante si scagliò anche sulla famiglia di Laura. Il padre fu forzatamente costretto all’esilio e dovette trasferirsi verso sud, alla frontiera con l’Argentina sulle Ande. L’intera famiglia traslocò dunque a Temuco. La famiglia si ritrovò repentinamente in una triste situazione di precarietà a seguito della morte del 

padre avvenuta nel 1893. Alcuni mesi dopo, l’anno successivo, nacque una seconda bambina, Giulia Amanda. La madre si ritrovò così sola con due figlie a dover vincere la fame e la disperazione.
Nel 1899 il residuo nucleo familiare si trasferì nella vicina regione argentina del Neuquén. La madre potè così trovare lavoro nella tenuta agricola di Manuel Mora, uno dei tanti colonizzatori che avevano intrapreso lo sfruttamento dei terreni incolti della Patagonia. In seguito a pressioni subite dal datore di lavoro, ne divenne la compagna. Ciò conseguentemente influì purtroppo negativamente sull’educazione delle due bambine. Laura, seppur ancora piccola, si rese conto della precarietà e dell’irregolarità dal punto di vista religiosa della mamma, che in tal modo non poteva essere ammessa ai sacramenti.
Nonostante ciò la mamma non abbandonò mai completamente le figlie e tentò nei limiti del possibile di educarle anche religiosamente. Al fine di assicurare loro un’istruzione adeguata e continua, le affidò nel gennaio 1900 ad un piccolo collegio missionario tenuto dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, situato a Junin de los Andes ai confini con il Cile, patria natia di Laura.
Di quest’ultima, nel consegnarla alla superiora, la madre assicurò: “Non mi ha mai dato dispiaceri. Fin dall’infanzia è stata sempre obbediente e sottomessa”.
Repentinamente catapultata in questo nuovo ambiente, Laura si trovò comunque subito a proprio agio. Il suo animo fu tempestivamente conquistato dalle verità evangeliche infusele mediante la catechesi e ciò la portò a rendersi maggiormente conto della contrarietà della situazione di convivenza della madre rispetto alla legge divina. Il 2 giugno 1901 potè ricevere la prima Comunione, ma in tal giorno divenne ancor più profonda la sua sofferenza nel vedere la mamma non accostarsi ai sacramenti. Non potè dunque astenersi dal pregare intensamente per la pacifica conclusione di tale relazione. Purtroppo la sua speranza non ebbe compimento, ma ciò non toglie che questa esperienza fu decisiva nel provocare una grande svolta nella sua vita, che fu così descritta: “Notammo in lei da quel giorno un vero e solido progresso”.
Il giorno della prima Comunione scrisse alcuni propositi, molto simili a quelli del santo allievo di don Bosco, Domenico Savio: “O mio Dio, voglio amarti e servirti per tutta la vita; perciò ti dono la mia anima, il mio cuore, tutto il mio essere. Voglio morire piuttosto che offenderti col peccato; perciò intendo mortificarmi in tutto ciò che mi allontanerebbe da te. Propongo di fare quanto so e posso perché tu sia conosciuto e amato, e per riparare le offese che ricevi ogni giorno dagli uomini, specialmente dalle persone della mia famiglia. Mio Dio, dammi una vita di amore, di mortificazione, di sacrificio”.
Con questi propositi Laura si abbandonò totalmente al Signore pur di ottenere la conversione di sua madre e le Figlie di Maria Ausiliatrice non tardarono a comprendere di trovarsi dinnanzi ad una bambina eccezionale.
Sin dal suo primo anno di permanenza nel collegio si distinse per la volenterosa applicazione nello studio e per l’intensità della sua vita interiore. Dall’8 dicembre 1900 si iscrisse alla Pia Unione delle Figlie di Maria.
Nel secondo anno le sorelle Vicuna furono mandate in vacanza dalla madre, ma Laura restò negativamente scossa dall’impatto con il suo convivente. Era sofferente fin nel più profondo della sua intimità, ma ciò non traspariva se non nei momenti di maggiore amarezza. Una di queste occasioni fu per esempio la mancata partecipazione della mamma alla missione popolare che fu predicata a Junin de los Andes. L’anno successivo le due sorelle raggiunsero nuovamente la mamma a Quilquihué nel periodo delle vacanze. Mora esternò un eccessivo interesse nei confronti di Laura, la quale se ne accorse prontamente e si cinse come di una corazza di ferro per combatterne i malvagi propositi. Questi reagì crudelmente e si vendicò rifiutandosi di pagare la retta del collegio. Mossa da pietà e comprensione la direttrice accolse ugualmente le due bambine.
Il 29 marzo 1902 le due sorelline ricevettero la cresima, presente la madre che però perseverò nell’astensione dai sacramenti. In tale occasione Laura fece richiesta di poter essere ammessa tra le postulanti delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ma ottenne una risposta negativa a causa della situazione familiare. Dovette dunque rassegnarsi, senza però desistere dal suo intento.
Il mese successivo, infatti, emise privatamente i voti di castità, povertà ed obbedienza, consacrandosi così a Gesù ed offrendogli la propria vita. Verso fine anno iniziò a manifestarsi in Laura un leggero deperimento fisico.
Trascorse l’intero anno successivo rinchiusa nel collegio e nel settembre 1903 non riuscì neppure a prendere parte agli esercizi spirituali, tanto era diventata cagionevole la sua salute. Tentò un cambiamento climatico, tornando dalla madre, ma ciò non si rivelò alquanto salutare. Allora tornò a Junin e vi si trasferì anche la madre, alloggiando però privatamente.
Nel gennaio 1904 giunse in visita il Mora, con il proposito di trascorrere la notte nella medesima abitazione. “Se egli si ferma qui, io me ne vado in collegio dalle suore” minacciò Laura scandalizzata, e così dovette fare seppur stravolta dal male. Mora la inseguì e, raggiuntala, la percosse violentemente lasciandola traumatizzata. Giunta poi in collegio si confessò dal suo direttore spirituale, rinnovando l’offerta della propria vita per la conversione della madre.
Il 22 gennaio ricevette il Viatico e quella sera fece chiamare la madre per trasmetterle il suo grande sogno: “Mamma, io muoio! Io stessa l’ho chiesto a Gesù. Sono quasi due anni che gli ho offerto la vita per te, per ottenere la grazia del tuo ritorno alla fede. Mamma, prima della morte non avrò la gioia di vederti pentita?”. Questa le promise allora di cambiare completamente vita. Laura potè allora spirare serenamente dopo aver pronunciato queste ultime gioiose parole: “Grazie, Gesù! Grazie, Maria! Ora muoio contenta!”
In occasione del funerale la mamma tornò ad accostarsi ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia.
La tomba di Laura è collocata nella cappella del Collegio Maria Ausiliatrice di Bahia Blanca, in Argentina, dove è metà di pellegrinaggi in particolare per le popolazioni cilena ed argentina.
Venerata fin dalla sua morte, l’apertura della sua causa di canonizzazione avvenne solo il 19 settembre 1955, portando al riconoscimento delle virtù eroiche ed al conferimento del titolo di “venerabile” il 5 giugno 1986.
A seguito del riconoscimento ufficiale di un miracolo avvenuto per sua intercessione, Laura del Carmen Vicuna, poema di candore, di amore filiale e di sacrificio, fu beatificata dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II il 3 settembre 1988 sul Colle delle beatitudini giovanili, presso Castelnuovo Don Bosco. Il nuovo Martyrologium Romanum la commemora dunque il giorno della sua morte, nel quale è fissata anche la sua memoria liturgica per la Famiglia Salesiana.
Con il riconoscimento di un ulteriore miracolo, verificatosi dopo la beatificazione, Laura potrà essere la più giovane santa non martire della storia della Chiesa.

L’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice nasce a Mornese (Alessandria) il 5 agosto 1872, fondato da san Giovanni Bosco e da santa Maria Domenica Mazzarello. Da allora, questo carisma, che ha a cuore l’educazione delle nuove generazioni, si è radicato su tutto il territorio italiano e in tanti altri paesi del mondo per accompagnare la vita dei giovani e rispondere ai bisogni e alle esigenze sempre nuove espresse dalla società.

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Già nei primi decenni dalla fondazione, si assiste ad una rapida espansione dell’opera delle FMA in Italia. Le comunità si sviluppano in stretto rapporto con la società civile e moltiplicano le proprie attività in risposta a bisogni concreti come l’istruzione, il lavoro, la protezione della donna e l’assistenza dell’infanzia, offrendo un contributo significativo al processo di formazione civile, culturale, professionale e religiosa degli italiani.

Nel 1888, alla morte di don Bosco, le FMA sono presenti sul territorio nazionale con oratori , collegi, scuole e laboratori professionali e la loro attenzione si orienta in particolare verso le giovani delle classi meno abbienti, per offrire risposte efficaci alle trasformazioni in atto nella società. Gli ultimi anni dell’Ottocento segnano l’inizio di un processo molto intenso di crescita e di radicamento nel territorio, che continua fino agli anni Sessanta. Insieme ai confratelli salesiani, le FMA cercano di fornire risposte concrete ed efficaci, moltiplicano le proprie attività e il proprio impegno educativo in favore delle giovani, sperimentando anche nuove forme di collaborazione con le autorità civili e le amministrazioni locali.

Nel 1966 l’Istituto delle FMA in Italia tocca l’apice del proprio sviluppo, con 695 comunità, sparse pressoché in tutte le regioni. La loro presenza si espande rilanciando il proprio impegno educativo a vantaggio dei bambini, delle famiglie e dei giovani, in un servizio generoso a favore degli ultimi.  Le FMA cercano di stare al passo con i tempi, e di intercettare e offrire risposte adeguate alle istanze che si presentano.

Nella seconda metà degli anni Settanta, anche in seguito ai mutamenti significativi nella società italiana e nella Chiesa, nel costume e nella cultura, si apre una fase di contrazione numerica delle presenze FMA sul territorio nazionale.

Dal 1996 è iniziato un cammino di riflessione e ricerca che, per rispondere con maggior efficacia ai reali bisogni dei giovani nei diversi contesti territoriali, ha portato ad una riprogettazione dell’Italia Salesiana e ha messo in sinergia le comunità delle FMA delle diverse aree geografiche di appartenenza. L’Istituto vuole continuare a trovare strade per inculturare oggi il carisma educativo di don Bosco e Madre Mazzarello e rispondere così alle attese e alle speranze delle giovani generazioni, perché continuino ad avere vita, e vita felice ed abbondante.

CELEBRAZIONE DEL «CORPUS DOMINI» ALL’ESTREMA PERIFERIA DELL’URBE

OMELIA DEL SANTO PADRE PAOLO VI

Solennità del «Corpus Domini» Giovedì, 28 maggio, 1970 Fratelli e Figli carissimi! Il primo nostro riverente e rispettoso saluto va al Cardinale Angelo Dell’Acqua, Nostro Vicario Generale per questa Nostra amatissima Diocesi di Roma, e intendiamo salutare e benedire, con intima unione di fede e di carità, tutta la Nostra Diocesi di Roma, qui presente, o qui rappresentata. PATERNI SALUTI Poi salutiamo cordialmente il vostro Parroco Don Carlo Bressan, degno figlio di Don Bosco, che con i suoi bravi Confratelli presta il suo ministero pastorale a questa nuova Parrocchia, insignita del bel titolo di Santa Maria della Speranza; così all’intera Parrocchia, che sta diventando, con i suoi oratori salesiani, maschile e due femminili, una comunità numerosa, viva ed organica: a tutti ed a ciascun membro di essa, alle famiglie cristiane specialmente, il Nostro affettuoso e benedicente saluto. Lo estendiamo alle Parrocchie vicine, a tutto il quartiere e a tutti quanti sono venuti a questa celebrazione per onorare nostro Signore Gesù Cristo nel sacramento eucaristico: grazie a voi tutti della vostra presenza, che non sarà senza copiose benedizioni del Signore. Ancora altri saluti speciali: alla Gioventù, che sappiamo qui assistita ed animata dallo spirito di San Giovanni Bosco; Giovani! Un grande saluto a voi: vi portiamo nel cuore e oggi nella Nostra preghiera di questa Messa speciale; abbiamo fiducia nella vostra fede a Cristo, nella vostra fedeltà alla Chiesa, nel vostro senso di carità sociale per il bene di tutta questa nascente e fiorente comunità parrocchiale. Poi il pensiero va a tutti quelli che hanno bisogno di conforto e di aiuto: ai sofferenti, ai poveri, ai forestieri, ai bambini, agli infelici; per tutti invochiamo dalla Madonna della Speranza, da Cristo amico di tutti i tribolati la consolazione del cuore e l’assistenza della carità dei fratelli, che qui, Noi speriamo, non lascerà loro mancare. Un grande saluto rivolgiamo all’Ateneo Salesiano qui vicino, che alle sue benemerenze aggiunge quella di ospitare la Parrocchia, in attesa che anch’essa abbia la sua chiesa. E a tutte le istituzioni, che fanno capo a questo nuovo e già famoso Ateneo, e specialmente al suo degno Rettore Don Luigi Colonghi e a tutto l’insigne corpo universitario, Professori e Studenti, un vivo augurio di prosperità e di particolare assistenza della divina Sapienza. Infine salutiamo con devota cordialità il Cardinale Carlo Wojtyla, Arcivescovo di Cracovia, e con lui i Venerati Fratelli Vescovi Polacchi, che lo accompagnano, e che guidano insieme a lui il numeroso e carissimo gruppo di Sacerdoti Polacchi, pellegrini a Roma, e oggi qui presenti. La loro presenza ci ricorda l’anniversario, che essi celebrano, della loro ordinazione sacerdotale; ci ricorda la grande sofferenza, che non pochi di essi, prigionieri e deportati durante la guerra, hanno sopportato con invitta fortezza e cristiana pazienza; ci ricorda la loro patria, la cattolica Polonia, Nazione a Noi carissima, per la cui prosperità civile e religiosa, Noi oggi sinceramente pregheremo, sinceramente grati d’avere con Noi oggi una così cospicua rappresentanza di quell’eroico e cristiano Paese. Per celebrare bene la festa, che qui ci riunisce, la festa del «Corpus Domini», la festa del sacramento eucaristico, occorre un momento di riflessione, come noi ora stiamo facendo. COMUNITÀ VIVA Un momento di riflessione. Cominciamo così: chi siamo noi? Noi siamo Chiesa; una porzione della Chiesa cattolica, una comunità di credenti uniti nella stessa fede, nella stessa speranza, nella stessa carità, una comunità viva in virtù di un’animazione, che ci viene dal Signore, da Cristo stesso e che il suo Spirito alimenta; siamo così parte del suo Corpo mistico. Ora la Chiesa possiede dentro di sé un segreto, un tesoro nascosto, un mistero. Come un cuore interiore. Possiede Gesù Cristo stesso, suo fondatore, suo maestro, suo redentore. State attenti: lo possiede presente. Presente? Sì. Con l’eredità della sua Parola? Sì, ma anche con un’altra presenza. Quella dei suoi ministri? dei suoi apostoli, dei suoi rappresentanti? dei suoi sacerdoti? cioè della sua tradizione ministeriale? Sì; ma vi è di più. Il Signore ha dato ai suoi sacerdoti, a questi suoi ministri qualificati un potere straordinario e meraviglioso: quello di renderlo realmente, personalmente presente. Vivo ? Sì. Proprio Lui? Sì, proprio Lui. Ma dov’è, se non si vede? Ecco il segreto, ecco il mistero: la presenza di Cristo è vera e reale, ma sacramentale. Cioè nascosta, ma nello stesso tempo identificabile. Si tratta d’una presenza rivestita di segni speciali, che non lasciano vedere la sua divina ed umana figura, ma solo ci assicurano che Egli, Gesù del Vangelo ed ora Gesù vivente nella gloria del cielo, è qui, è nell’Eucaristia. Dunque, si tratta d’un miracolo? Sì, d’un miracolo, che Egli, Gesù Cristo, diede il potere di compiere, di ripetere, di moltiplicare, di perpetuare ai suoi Apostoli, facendoli Sacerdoti, e dando a loro questo potere di rendere presente tutto il suo Essere, divino ed umano, in questo Sacramento, che chiamiamo Eucaristia, e che sotto le apparenze di pane e di vino contiene il Corpo, il Sangue, l’anima e la divinità di Gesù Cristo. È un mistero, ma è la verità. Ed è questa verità miracolosa, posseduta dalla Chiesa Cattolica, e custodita con gelosa e silenziosa coscienza, che noi oggi celebriamo, e vogliamo, in un certo senso, pubblicare, manifestare, fare vedere, fare comprendere, esaltare. La Chiesa, Corpo mistico di Cristo, oggi celebra il Corpo reale di Cristo, presente e nascosto nel Sacramento dell’Eucaristia. VERITÀ MIRACOLOSA Ma è difficile capire? Sì, è difficile; perché si tratta d’un fatto reale e singolarissimo, compiuto dalla potenza divina, e che sorpassa la nostra normale e naturale capacità di comprendere. Bisogna credervi, sulla parola di Cristo; è il «mistero della fede» per eccellenza. Ma stiamo attenti. Il Signore ci si presenta, in questo Sacramento, non come Egli è, ma come Egli vuole che noi lo consideriamo; come Egli vuole che noi lo avviciniamo. Egli ci si presenta sotto l’aspetto di segni, di segni speciali, di segni espressivi, scelti da Lui, come se dicesse: guardatemi così, conoscetemi così; i segni del pane e del vino vi dicano ciò che Io voglio essere per voi. Egli ci parla per via di questi segni, e ci dice: così io ora sono tra voi. PRESENZA REALE Perciò, se noi non possiamo godere della presenza sensibile, noi possiamo e dobbiamo godere della sua reale presenza, ma sotto il suo aspetto intenzionale. Qual è l’intenzione di Gesù, che si dà a noi nell’Eucaristia? Oh! questa intenzione, se bene riflettiamo, ci è apertissima, e ci dice molte, molte cose di Gesù; ci dice soprattutto il suo amore. Ci dice che Egli, Gesù, mentre nell’Eucaristia si nasconde, nell’Eucaristia si rivela; si rivela in amore. Il «mistero di fede» si apre in «mistero di amore». Pensate: ecco la veste sacramentale, che al tempo stesso nasconde e presenta Gesù; pane e vino, dato per noi. Gesù si dà, si dona. Ora questo è il centro, il punto focale di tutto il Vangelo, dell’Incarnazione, della Redenzione: Nobis natus, nobis datus: nato per noi, dato per noi. Per ciascuno di noi? Sì, per ciascuno di noi. Gesù ha moltiplicato la sua presenza reale ma sacramentale, nel tempo e nel numero, per potere offrire a ciascuno di noi, diciamo proprio a ciascuno di noi, la fortuna, la gioia di avvicinarlo, di poter dire: è per me, è mio. «Mi amò, dice S. Paolo, e diede Se stesso - per me!» (Gal. 2. 20). E per tutti, anche? Sì, per tutti. Altro aspetto dell’amore di Gesù, espresso nell’Eucaristia. Conoscete le parole, con le quali Gesù istituì questo Sacramento, e che il Sacerdote ripete alla Messa, nella consacrazione: «. . . mangiatene tutti; . . . bevetene tutti». Tanto che questo stesso Sacramento è istituito durante una cena, modo e momento, familiare e ordinario, di incontro, di unione. L’Eucaristia è il sacramento che raffigura e produce l’unità dei cristiani; è questo un aspetto caratteristico della Eucaristia, molto caro alla Chiesa, ed oggi molto considerato. Dice, ad esempio, il Concilio recente, con parole estremamente dense di significato: Cristo «istituì nella sua Chiesa il mirabile sacramento della Eucaristia, dal quale l’unità della Chiesa è significata ed attuata» (Unitatis redintegratio, 2). L’aveva già detto S. Paolo, primo storico e primo teologo dell’Eucaristia: «Noi formiamo un solo corpo, noi tutti che partecipiamo dello stesso pane» (1 Cor. 10, 17). Bisogna proprio esclamare, con S. Agostino: «O Sacramento di bontà! o segno di unità! o vincolo di carità!» (S. AUG., In Io. Tr., 26; PL 15, 1613). Ecco: dalla reale presenza, così simbolicamente espressa nell’Eucaristia un’infinita irradiazione si effonde, un’irradiazione d’amore. D’amore permanente. D’amore universale. Né tempo, né spazio gli impongono limiti. Ancora una domanda: ma perché questo simbolismo espresso mediante le specie degli alimenti: pane e vino? Anche qui l’intenzione è chiara: l’alimento entra in colui che se ne nutre, viene in comunione con lui. Gesù vuol venire in comunione con il fedele che assume l’Eucaristia, tanto che noi siamo soliti a dire che assumendo questo sacramento facciamo la «comunione». Gesù vuol essere non solo vicino, ma in comunione con noi: poteva amarci di più? E questo perché? perché vuol essere, come l’alimento per il corpo, principio di vita, di vita nuova; Lui lo ha detto: «Chi mangia, vivrà; vivrà di me; vivrà per l’eternità» (Cfr. Io. 6. 48-58). Dove arriva l’amore di Cristo! SACRIFICIO E SALVEZZA E vi sarebbe un altro aspetto da considerare: perché due alimenti, pane e vino? Per dare all’Eucaristia il significato e la realtà di carne e di sangue, cioè di sacrificio, di figura e di rinnovazione della morte di Gesù sulla croce. Parola ancora dell’Apostolo: «Tutte le volte che voi mangerete di questo pane e berrete di questo calice, voi rinnoverete l’annuncio della morte del Signore, fino a che Egli non venga» (1 Cor. 11, 26). Estremo amore di Gesù! Il suo sacrificio per la nostra redenzione si rappresenta nell’Eucaristia, affinché a noi ne sia esteso il frutto di salvezza. Amore di Cristo per noi; ecco l’Eucaristia. Amore che si dona, amore che rimane, amore che si comunica, amore che si moltiplica, amore che si sacrifica, amore che ci unisce, amore che ci salva. Ascoltiamo, Fratelli e Figli carissimi, questa grande lezione. Il Sacramento non è soltanto questo denso mistero di divine verità, di cui ci parla il nostro catechismo; è un insegnamento, è un esempio, è un testamento, è un comandamento. Proprio nella notte fatale dell’ultima cena Gesù tradusse in parole indimenticabili questa lezione di amore: «Amatevi gli uni gli altri come Io vi ho amato» (Io. 13, 34). Quel «come» è tremendo! Dobbiamo amare come Lui ci ha amati! né la forma, né la misura, né la forza dell’amore di Cristo, espresso nell’Eucaristia, saranno a noi possibili! ma non per questo il suo comandamento, che emana dall’Eucaristia, è per noi meno impegnativo: se siamo cristiani, dobbiamo amare: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore scambievole» (ibid. 35). Noi celebriamo il «Corpus Domini». Pensiamo: noi celebriamo la festa dell’Amore. Dell’Amore di Cristo per noi, che spiega tutto il Vangelo. Essa deve diventare festa dell’Amore nostro per Cristo e da Cristo a Dio, ch’è tutto ciò che dobbiamo fare di più indispensabile e di più importante in questa nostra vita, destinata appunto all’amore di Dio. Festa poi dell’amore nostro fra di noi, dell’amore nostro per i fratelli - e sono tutti gli uomini, dai più vicini ai più lontani; ai più piccoli, ai più poveri, ai più bisognosi, fino a quelli che ci fossero antipatici o nemici. Questa è la fonte della nostra sociologia, questa è la Chiesa, la società dell’amore. E perciò di tutte le virtù religiose ed umane che l’amore di Cristo comporta, del dono di sé per gli altri, della bontà, della giustizia, della pace, specialmente. Forse, tanto si parla d’amore - ahimé! di quale amore? -, che noi crediamo di conoscere il significato e la forza di questa parola. Ma solo Gesù, solo l’Eucaristia, ce ne può insegnare il senso totale, vero e profondo. E perciò eccoci a celebrare, umili, raccolti, esultanti, la festa del «Corpus Domini».

 

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